Avvocato Domenico Esposito
 

 

 

QUANDO L’AVVISO BONARIO O ALTRO TIPO DI INVITO SONO  AUTONOMAMENTE IMPUGNABILI E CONSEGUENZE DELLA MANCATA IMPUGNAZIONE

 

 

Richiesta del pagamento di una tassa rifiuti, mediante un avviso bonario, la contribuente, dopo aver provveduto al versamento della somma richiesta, presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Torino chiedendo l'annullamento dell'avviso di pagamento e la restituzione di quanto versato eccependo tutta una serie di vizi

 

Il comune, costituitosi in giudizio, osservava che l'avviso di pagamento impugnato costituiva una semplice comunicazione effettuata al contribuente con la quale si portava a conoscenza che la somma dovuta per Tarsu anno 2000 era quella in esso indicata, chiedendo che il ricorso venisse dichiarato inammissibile in quanto rivolto contro atto non compreso nel tassativo elenco degli atti impugnabili previsto dall'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.

 

Secondo la Sezioni Unite, sono avvisi di accertamento o di liquidazione di un tributo tutti quegli atti con cui viene comunicata una pretesa tributaria ormai definita, anche se detta comunicazione non contenga una formale intimazione al pagamento ma semplicemente un invito "bonario" a versare il dovuto.

 

“Cioè appare essenziale, perché si possa parlare di avviso di accertamento o di liquidazione, che il testo manifesti una pretesa tributaria compiuta e non condizionata, ancorché accompagnata dalla sollecitazione a pagare spontaneamente per evitare spese ulteriori.”

 

Al momento della notificazione dell’avviso bonario, inizia a decorrere il termine per la decadenza dell’impugnazione?

No, se manca il riferimento all’impugnabilità dell’atto prescritto dallo Statuto dei diritti del contribuente (D.Lgs. 546/92 art. 19 comma 2).

In ogni caso, una eventuale mancata impugnazione in caso di atto autonomamente impugnabile può essere sanata dall’istituto dell’errore scusabile, espressamente previsto nel procedimento tributario, di cui all’art. 19, comma 2, del D.lgs. n. 546/92, dall’art. 3, comma 4, della L. n. 241/90, applicabile anche alla materia tributaria, come richiamato dallo Statuto dei diritti del contribuente Art. 7, comma 2).

Attenzione: caso diverso è quello delle comunicazioni previste dal dall’art. 36 bis comma 3 del D.P.R. n. 600/1973 e dall’art. 54 bis comma 3 del D.P.R. n. 633/1972, che costituiscono anche un "invito" a fornire "eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi", che manifestano una volontà impositiva ancora in itinere e non formalizzata in un atto cancellabile solo in via di autotutela (o attraverso l'intervento del giudice).

 

Spetta quindi al giudice di merito distinguere tra gli atti impositivi e quelli non impositivi, mediante l’esame degli aspetti sostanziali dell'atto, “che possono non trovare compiuta corrispondenza nei suoi aspetti formali”.

 

Per quanto attiene la fattispecie all’esame delle Sezioni Unite, la sentenza impugnata sottolineava: "l'avviso impugnato contiene le modalità di calcolo dell'imposta e la calendarizzazione dei pagamenti e, quindi, costituisce una vera e propria liquidazione dell'imposta dovuta che incide sulla posizione patrimoniale del contribuente"; dunque indica adeguati fattori da cui è ragionevole dedurre che ci si trovi di fronte alla comunicazione di una pretesa impositiva, e non ad una richiesta di chiarimenti.

 

Nel caso in cui un atto che, nella sostanza, secondo i criteri sopra enunciati, sia “impositivo” ma difetti di adeguati elementi formali (ad esempio non sia qualificato “avviso di liquidazione”" o “avviso di pagamento”, oppure manchi “l'indicazione del termine entro il quale il ricorso deve essere proposto e della commissione tributaria competente, nonché delle relative forme da osservare” o “sia classificato non impugnabile dall’ente impositore", si può prospettare “un vizio dell'atto, oppure la possibilità che esso non sia idoneo a determinare la decorrenza del termine di cui all'art. 21 (ad esempio, in quanto non notificato), o la eventualità di una rimessione in termini del contribuente per errore scusabile.”

 

La sentenza sotto riportata è stata evidenziata in grassetto nelle parti ritenute più rilevanti.

 

 

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza 20.3.2007 n. 16293

 

Svolgimento del processo

 

Il comune di (…) inviava alla Sig.ra (…), tramite il servizio riscossione, un avviso di pagamento con il quale le comunicava le somme dovute per l'anno 2000 a titolo di tassa rifiuti solidi urbani, pari a lire 362.000, con relative istruzioni di pagamento.

 

La contribuente, dopo aver provveduto al versamento della somma richiesta, presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Torino chiedendo l'annullamento dell'avviso di pagamento e la restituzione di quanto versato eccependo tutta una serie di vizi per quanto qui interessa - così indicati nella sentenza di secondo grado:

 

1) incompetenza dell'organo di giunta a deliberare nel 2000 la tariffa Tarsu per lo stesso anno;

2) omessa deliberazione nella delibera della Tarsu anno 2000 degli indici qualitativi e quantitativi di produttività dei rifiuti;

3) mancata votazione della delibera secondo lo statuto della città di (…);

4) incompetenza dell'organo che ha raccolto ed elaborato i dati nella delibera del 1997 richiamata in quella del 2000;

5) omessa attività istruttoria e, comunque, difetto di motivazione nella determinazione degli indici qualitativi e quantitativi Tarsu nella delibera del 1997 richiamata in quella del 2000;

6) illogicità, contraddittorietà, irragionevolezza e manifesta ingiustizia nella determinazione degli indici qualitativi e quantitativi Tarsu nella delibera del 1997 richiamata in quella del 2000;

7) i ruoli erano stati sottoscritti da persona diversa dal sindaco o dal dirigente con conseguente inesistenza degli stessi e della relativa comunicazione;

8) l'iscrizione a ruolo non conteneva, nemmeno a livello allegato, le delibere comunali;

9) l'iscrizione a ruolo risultava essere incomprensibile, sia a livello di basi imponibili sia a livello di imposte; erano state fissate delle superfici non tassabili o per carenza del presupposto soggettivo, o per carenza del presupposto oggettivo.

 

Il comune, costituitosi in giudizio, osservava che l'avviso di pagamento impugnato costituiva una semplice comunicazione effettuata al contribuente con la quale si portava a conoscenza che la somma dovuta per Tarsu anno 2000 era quella in esso indicata.

 

Nel medesimo avviso era indicato che, qualora il contribuente non avesse provveduto spontaneamente al pagamento della tassa nella misura comunicatagli, l'importo dovuto sarebbe stato iscritto a ruolo, oltre ad avvertirlo che contro l'avviso non era ammesso ricorso giurisdizionale.

 

Chiedeva, quindi, che il ricorso venisse dichiarato inammissibile in quanto rivolto contro atto non compreso nel tassativo elenco degli atti impugnabili previsto dall'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.

 

La Commissione adita, accogliendo le argomentazione del comune, riteneva inammissibile il ricorso.

 

Con atto di appello avverso la suddetta sentenza il contribuente sosteneva che con il ricorso introduttivo erano stati impugnati tre atti, il ruolo, la delibera comunale e la comunicazione di

iscrizione a ruolo, ciascuno di essi per vizi propri e dei quali si chiedeva l'annullamento o la disapplicazione.

 

Conseguentemente ripropone i medesimi motivi di doglianza già esposti in prima istanza e chiede la riforma della sentenza impugnata.

 

Resisteva l'ufficio insistendo sull'inammissibilità del ricorso perché rivolto contro atto non impugnabile.

 

La Commissione tributaria regionale per il Piemonte accoglieva parzialmente il ricorso dichiarando ammissibile il ricorso introduttivo della contribuente che però rigettava nel merito.

 

Per quanto ancora qui interessa, la sentenza di secondo grado così motivava:

"Sull'eccezione preliminare rilevata dal comune circa l'inammissibilità del ricorso perché l'atto impugnato non rientrerebbe nell'elenco tassativo degli atti impugnabili ai sensi dell'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, occorre svolgere alcune considerazioni per delinearne la natura. Bisogna stabilire se tale atto sia una semplice comunicazione oppure, come assume il contribuente, sia la notifica dell'avvenuta iscrizione a ruolo con relativa richiesta di versamento. L'avviso di pagamento presuppone che il comune abbia formato il ruolo e che questo sia stato trasmesso al Concessionario

per la riscossione. Quest'ultimo, anziché emettere direttamente la cartella di pagamento, ha trasmesso un avviso di pagamento nel quale sono riportati tutti gli elementi caratterizzanti la cartella. L'avviso impugnato contiene le modalità di calcolo dell'imposta e la calendarizzazione dei pagamenti e, quindi, costituisce una vera e propria liquidazione dell'imposta dovuta che incide sulla posizione patrimoniale del contribuente. Un atto che contenuto impositivo non può essere privato di tutela giurisdizionale".

Dopo aver rigettato un'eccezione del comune che ora più non rileva la sentenza impugnata soggiunge: "Tutte le eccezioni circa i presunti vizi contenuti negli atti amministrativi concernenti la determinazione in via generale dei criteri applicativi della Tarsu, nonché quelle attinenti alla formazione del ruolo, comprese nei primi 8 punti del ricorso, vanno rigettate in quanto la materia

esula dalla competenza delle Commissioni tributarie, essendo tutte questioni proponibili in sede di giudizio amministrativo".

 

La contribuente ricorre per cassazione deducendo undici motivi, il comune resiste con controricorso ed un motivo di ricorso incidentale. La contribuente ha anche depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

È pregiudiziale l'esame del primo motivo di ricorso incidentale con cui il comune deduce ex artt. 62 del D.Lgs. n. 546/1992, 371, 360, nn. 3) e 5), del codice di procedura civile sull'ammissibilità del ricorso di primo grado "violazione e mancata applicazione dell'art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546; omessa od insufficiente motivazione").

 

Contesta cioè il profilo della decisione con cui il Collegio di seconde cure ha ritenuto di riformare parzialmente la sentenza appellata sulla pronuncia circa l'eccezione preliminare sollevata dal comune di (…) relativa all'inammissibilità del ricorso di primo grado non essendo compreso

l'avviso di pagamento impugnato nell'elenco tassativo degli atti impugnabili di cui all'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.

 

Il motivo deve essere rigettato.

 

Ritiene il Collegio che ai fini dell'accesso alla giurisdizione tributaria debbano essere qualificati come avvisi di accertamento o di liquidazione di un tributo tutti quegli atti con cui l'Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita; ancorché

tale comunicazione si concluda non con una formale intimazione al pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell'attività esecutiva, bensì con un invito "bonario" a versare quanto dovuto.

 

Cioè appare essenziale, perché si possa parlare di avviso di accertamento o di liquidazione, che il testo manifesti una pretesa tributaria compiuta e non condizionata, ancorché accompagnata dalla sollecitazione a pagare spontaneamente per evitare spese ulteriori (o anche essere ammesso a qualche beneficio).

 

A differenza di quanto può dirsi a proposito delle comunicazioni previste dal comma 3 dell'art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 e dal comma 3 dell'art. 54-bis del D.P.R. n. 633/1972; queste comunicazioni costituiscono infatti anche un "invito" a fornire "eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi".

 

Quindi manifestano una volontà impositiva ancora in itinere e non formalizzata in un atto cancellabile solo in via di autotutela (o attraverso l'intervento del giudice).

 

Nell'ambito di questa impostazione di diritto, che l'ente impositore non può modificare a suo piacimento dichiarando "non impugnabili" atti che impugnabili sono, spetta al giudice di merito sceverare con congrua motivazione gli atti impositivi dagli atti che impositivi non sono, esaminando gli aspetti sostanziali dell'atto, che possono non trovare compiuta corrispondenza nei suoi aspetti formali (Cass. sentenza n. 14482 del 29 settembre 2003).

 

Per quanto attiene alla presente controversia, appare sufficiente rilevare che la sentenza impugnata sottolinea: "l'avviso impugnato contiene le modalità di calcolo dell'imposta e la calendarizzazione dei pagamenti e, quindi, costituisce una vera e propria liquidazione dell'imposta dovuta che incide sulla posizione patrimoniale del contribuente"; dunque indica adeguati fattori da cui è ragionevole dedurre che ci si trovi di fronte alla comunicazione di una pretesa impositiva, e non ad una richiesta di chiarimenti.

 

A sua volta, il comune non pone in evidenza fattori che possano contrastare la soluzione accolta dal giudice di secondo grado. Anzi il controricorso riferisce che l'avviso in questione avvertiva che, in caso di mancato pagamento, si sarebbe proceduto alla riscossione coattiva con iscrizione a ruolo e notifica di cartella.

 

Come si vede si tratta di una situazione ben diversa rispetto a quella che ha formato oggetto della pronuncia di questa Corte n. 1791 28 gennaio 2005 secondo cui è correttamente motivata e quindi non è sindacabile in sede di legittimità la valutazione del giudice di merito secondo cui un atto pur

emanato dall'ente impositore non è impugnabile avanti alla giustizia tributaria non avendo portata impositiva e costituendo invece un sollecito al privato a collaborare con l'ente esponendo le proprie ragioni.

 

Giova infine sottolineare che nel caso in cui un atto sostanzialmente impositivo difetti degli adeguati elementi formali ad esempio non contenga la dizione "avviso di liquidazione" o "avviso di pagamento", ovvero "l'indicazione del termine entro il quale il ricorso deve essere proposto e della commissione tributaria competente, nonché delle relative forme da osservare" (addirittura nel caso di specie vi sarebbe stata l'apposizione secondo cui si trattava di "atto non impugnabile"), si pone una problematica qui non rilevante.

 

Si potrebbe infatti prospettare un vizio dell'atto, oppure la possibilità che esso non sia idoneo a determinare la decorrenza del termine di cui all'art. 21 (ad esempio, in quanto non notificato), o la eventualità di una rimessione in termini del contribuente per errore scusabile.

 

Deve quindi essere preso in esame il primo motivo di ricorso principale con cui la contribuente deduce: "Violazione e mancata applicazione dell'art. 32, comma 2 lettera g), della L. 8 giugno 1990, n. 142; violazione e falsa applicazione dell'art. 35 della L. 6 giugno 1990, n. 142; Violazione e mancata applicazione dell'art. 69, comma 1, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507; Violazione e mancata applicazione dell'art. 7, comma 5, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546; degli artt. 4 e 5 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E; Violazione e falsa applicazione della L. 6 dicembre 1971, n. 1034; Violazione e mancata applicazione degli artt. 2, comma 1, e 19, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546; Omessa od insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia; Denunzia a sensi degli artt. 62 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e 360, nn. 3) e 5), del codice di procedura civile".

 

Il motivo deve essere accolto.

 

Invero è assolutamente pacifico che rientra nella competenza del giudice tributario (così come delineata dall'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992) valutare l'illegittimità degli atti amministrativi generali al limitato fine di decidere la controversia relativa ad uno specifico rapporto tributario, e senza poter procedere all'annullamento dell'atto generale (cfr., ex pluribus, la sentenza delle Sezioni Unite n. 6265 del 22 marzo 2006).

 

Dunque contrariamente a quanto affermato dal giudice di merito compete alle Commissioni tributarie valutare (sia pur solo al limitato fine di decidere in ordine alla legittimità dell'atto impositivo) i "vizi contenuti negli atti amministrativi concernenti la determinazione in via generale dei criteri applicativi della Tarsu, nonché quelli attinenti alla formazione del ruolo":

 

Risultano così assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso principale, ed il secondo motivo di ricorso incidentale.

 

P.Q.M.

 

la Corte riunisce i ricorsi, rigetta il primo motivo di ricorso incidentale, accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara la giurisdizione del giudice tributario, dichiara assorbito il secondo motivo di ricorso incidentale ed i residui motivi del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale per il Piemonte, che deciderà anche per le spese del presente grado di giudizio.